L'arte di Arianna Ferreri

14 Novembre 2022 Artisti Commenti
Dialogo filosofico-artistico con la scultrice dell'Isola bergamasca che racconta l'arte come necessità per comunicare il sé.

Arianna, quando hai scoperto la predisposizione all'arte come parte integrante della tua persona?

Da piccola ero molto interessata allo sviluppo delle pratiche manuali e in famiglia osservavo con fascinazione chi portava avanti le tradizioni: uncinetto, cucito, maglia, cucina e impasto. Raccoglievo pietre, conchiglie e mi dedicavo ai fili e alle perle a telaio, oltre al disegno, alla pittura e ai lavoretti. Ero sicuramente una bambina curiosa e con tanta voglia di sporcarmi le mani. Dagli otto anni in poi l'ho compreso in maniera ancor più consapevole e ho continuato molte delle pratiche che avevo iniziato, ritrovandomi sempre a mio agio mentre le praticavo.

Mi ha colpito molto la tua intraprendenza di bambina di otto anni cocciutamente decisa a suonare il sax. Mi raccontavi che, per convincere i tuoi genitori a iscriverti a una scuola di musica, avevi tempestato la casa di Post It (addirittura infilati nelle scarpe, nei cuscini…) con la preghiera di esaudire il tuo desiderio. Alla fine com'è andata? :-)

Beh, un aneddoto che ancora in famiglia ricordano ridendo della cosa. Ripetono che hanno voluto esaudirlo con l'idea che di lì a poco tempo avrei mollato, convinti che in qualche modo fosse una fascinazione temporanea. In realtà da allora non ho mai interrotto lo studio e da alcuni anni ho intrapreso il percorso di sassofono al Conservatorio. La musica rimane per me un linguaggio molto affine al mio lavoro come artista ed è un mezzo espressivo di cui ora non potrei farne a meno.

Alle medie sei selezionata dal tuo professore di artistica per effettuare, assieme ad alcuni compagni, dei murales all'interno dell'atrio della scuola. E' stata questa esperienza a darti fiducia e a farti decidere di intraprendere poi il Liceo Artistico?

Diciamo che, insieme alla manipolazione dell'argilla in età scolare, è stata una di quelle cose che mi ha fatto vedere l'arte in un senso più ampio. Ho iniziato a intuire che l'arte non era solo un disegno ben fatto, ma era anche progettazione, elaborazione di un tema e cooperazione in gruppo per poter migliorare e trasformare qualcosa di esistente.

Al liceo "Giacomo e Pio Manzù" ti dedichi soprattutto alla scultura, affascinata dal mondo plastico e della trasformazione dei materiali, fino a quando poi ti iscrivi all'Accademia di Brera a Milano. Anche qui scegli l'indirizzo "Scultura". Ti affascina l'esplorazione, il toccare con mano le idee attraverso l'esperienza e qui la sensibilità fa la sua parte. Ci vuoi descrivere cosa significa per te, artista, la sensorialità?

Le discipline plastiche alle quali sono stata iniziata durante il periodo del liceo mi hanno fatto intendere cosa fosse e come si lavorasse sul volume e che cosa significasse lo sviluppo di un progetto e di un tema per una finalità.
Solo in un momento successivo, durante il periodo in Accademia, addentrata nell'alta formazione artistico-musicale, ho compreso che in realtà quella finalità era una necessità interiore.
L'essere corpo e studiare attraverso i sensi, insieme alla sensorialità e alla sensibilità, sicuramente compone quello che sono oggi. Non posso più prescindere dalla pratica per comprendere la teoria. Per me la lettura della realtà passa attraverso il corpo e, pertanto, nel percorso artistico ho allenato le arti di senso (Arti esperienziali). Nel momento in cui negli anni accademici ho studiato scultura, ho compreso, come artista, cosa volesse dire essere io stessa corpo scultoreo e materia. La poetica, inoltre, mi dà occasione di tradurre il senso di tutto questo per portarlo nel mondo, nell'oggi.

Mi hai raccontato, non solo con le parole ma anche con la luce dei tuoi occhi, completamente immersi in un discorso meta-artistico e oserei direi oltre-filosofico, come la trasformazione della materia sia un superamento di te stessa in quanto essere umano, considerato in tutta la sua plasticità. Lavorando con la forza, il peso, l'equilibrio, la delicatezza, la precisione, sperimenti materiali come riflesso della tua persona. Parliamo di scultura sociale. A chi ti ispiri nello specifico?

Una delle personalità del passato che più mi ha travolto quando ho indagato sul suo lavoro è stata Joseph Beuys. Per lui essere un artista significava condurre un'esistenza insieme agli altri in fraterna collaborazione, ricercando quella "elementare e profonda comprensione per ciò che avviene sulla terra", perché ciò che avviene nel nostro mondo avviene dentro di noi. Di fatto egli non si tirò mai indietro dal confronto su temi sociali e politici, nei quali l'arte e la natura avevano sempre il primo posto. E non solo: la crisi dell'uomo contemporaneo e la perdita d'identità sono alcune tra le motivazioni che hanno spinto la sua vita come uomo e artista. Secondo lui l'uomo e la natura, con l'animo riconciliato, riusciranno a costruire un mondo vero. Il senso della scultura sociale è inteso come un processo permanente di continuo divenire dei legami ecologici, storici, culturali che determinano l'apparato sociale. Uno dei suoi slogan di fatto era KUNST= KAPITAL. La prima grande economia nasce dalle capacità dell'uomo, perciò la cultura è il primario capitale della società.

Proprio Joseph Beuys, sul quale hai scritto anche la tua tesi di laurea, è di grande ispirazione per la tua performance Possession, presentata da te al Museo Macro di Roma nel 2018 nell'ambito del progetto di Gianfranco D'Alonzo. Il corpo nelle condizioni di essere scultura: è questa la filosofia che sta alla base di questa tua "esposizione artistica". Dov'è nata l'idea e quali sono gli unici materiali che hai utilizzato?

Indirettamente la performance I Like America and America Likes Me di Joseph Beuys mi lasciò forte ispirazione. Nella mia performance, con uno sgabello e un tessuto rosso semi-rigido, indago lo spazio. Sperimento il mio corpo e lo spazio sentendo il limite dei due e tra i due. Nella performance dell'artista lui si confronta strettamente con la natura animale. In questo lavoro, invece, mi confronto superando il limite dell'ostacolo fisico del corpo e della realtà. Cercando una via d'uscita, ritorno a fare affidamento sui sensi e sull'intuizione che ne deriva.


Nella Primavera dello stesso anno arriva la scultura RI-SUONO, che poi sarà esposta a Livorno al Museo "Giovanni Fattori" (Ex Granai di Villa MImbelli) e premiata nell' ottobre 2022 nella sezione "Scultura e installazione". Una grandissima soddisfazione per la tua arte! Ci vuoi raccontare la genesi di quest'opera, soprattutto inerente alla sua pratica "accuditiva", e il significato che soggiace dietro alla sua azione meccanica?

L'opera installativa esposta in questo contesto è una scultura sonora. Una slitta meccanizzata si muove incessantemente provocando il movimento di schiuse di porcellana che generano suoni. Il ridondante movimento di questi elementi fragili è evocativo, rinnovato richiamo vitale di un vuoto. Ciò che genera il suono è meccanico. Nel loro muoversi dentro un vassoio metallico, invece, le schiuse sono libere ma condizionate l'una all'altra e generano suoni perpetui.
"Accudimento" in questo lavoro è ciò che dedico alla terra, a significare questi elementi che sono come schiuse d'uovo. Le ho realizzate manipolando la porcellana, per poi seguire l'iter dell'essicazione e trattarle con la massima attenzione fino al momento della cottura. Talvolta, nel periodo in cui ne facevo diverse, mi trovavo a svegliarmi ogni due ore di notte per controllare a che punto fosse l'essicazione e togliere la madre forma prima che questa rompesse questo guscio. Queste schiuse sono una sorta di casa che ha generato e accudito un vivente, per poi rimanere con la sua forma evocativa cava e vuota.
Di fatto, come in molti dei miei lavori, la forza evocativa deriva da elementi simbolici che vanno scovati all'interno del contesto in cui li vado a mettere. Potrei fare una serie di riferimenti a diversi lavori scultorei che ho realizzato, nei quali ricorre il tema umano tra fragilità e forza. Le stesse porcellane, tanto fragili, di fatto sono fatte di un tipo di terra che ha la temperatura di cottura più alta. Proprio nello studio dei materiali ho imparato a utilizzare gli stessi leggendoli e inserendoli per la poetica del mio fare artistico. Ricorrono certamente il suono, la terra, il metallo e il legno, ma non solo: spesso utilizzo anche gli oggetti recuperati, talvolta rielaborati e inseriti a scultura o installazione. La stessa slitta meccanica è un oggetto di recupero.

Mi dicevi che il 2018 è stato un anno particolarmente fecondo dal punto di vista della tua personalità artistica. Vai all'Università di Tenerife e in quest'isola ti ritrovi a contatto con quella natura e quella materia che risvegliano una componente che fa parte di te.
Proprio qui nascono due esperienze significative: la partecipazione a un laboratorio di fonderia dell'Università, in cui giochi con fuoco, cera, metallo in un contesto completamente vulcanico, e una scultura che ora si trova nel laboratorio di Román Hernández, artista e docente della Facoltà di Belle Arti ULL.
A Tenerife fai almeno quattro mostre, di cui tre nello spazio espositivo Desván Blanco . Proprio qui, il 23 ottobre di quest'anno, è stata inaugurata la mostra Libros de artistas y cajas de autor de la Collección Desván Blanco. Espacio Cultural e attualmente è esposta anche una tua opera. Ce la vuoi descrivere?

Il periodo in cui ho vissuto a Tenerife mi ha sicuramente trasformata. L'intesa della mia natura con la natura circostante mi ha fatto sentire nel Mio habitat. In questa terra la natura mi è stata maestra. Nella sua dominanza sono stata accompagnata da Luis Delgado, botanico e musicista.
L'ultimo lavoro esposto è proprio questo…

La sua realizzazione risale però al 2019. Oggi questa "caja de autor", intitolata Seguardo (si-miro), è parte della collezione dell'artista scultore Hernández, una persona con la quale ho avuto il piacere di collaborare e scambiare conoscenza come artista sulla realtà che ci circonda e della quale facciamo poetica visiva e non solo. Questa piccola cassa d'autore è stata proposta a molti artisti. Una scatolina uguale per tutti e che ognuno ha rielaborato apportando la sua mano. Nel mio caso ho tolto il fondo della scatola quasi subito, come a "sfondare" di principio la funzione della stessa. Ho inserito lana di pecora tra la base della scatola e il resto della stessa. C'è poi un pezzo di alveare, il quale è attraversato da fili che escono passando attraverso le teste di ghiande. Inoltre vi è la fotografia di una bambina seduta in mezzo a un immenso prato verde. Si tratta di un ancestrale sentire di accudimento/casa e la natura interviene riportando formalmente i suoi significati.

Nel 2021, sempre a Tenerife, alla Galleria Bronzo, nell'ambito della mostra Retrato del escultor, viene esposta una tua scultura molto particolare: Giostra, io mezzo. Mi dicevi che ha inquietato parecchio i visitatori. Ci vuoi spiegare perché?

Non so se tutti ne siano stati inquietati, ma molti sì. Forse perché le maschere dei volti sono oltrepassate attraverso la bocca da tre ferri/ tondini che le sorreggono. Questo ritratto, infatti, ha due maschere: due calchi del mio volto che si guardano, ma hanno gli occhi chiusi. Sono solo maschere, nuovamente cave e riempite in un caso di semi di avocado. I ferri, elemento che sorregge le strutture, in questo caso passano attraverso la bocca da dove, di fatto, esce la parola da cui emergono i significati e tanto altro. Forse inserire i ferri voleva essere non tanto una privazione ma la dominazione, la necessità che di lì passi qualcosa di strutturale. Alla base una cornice quadrata e in cima una corona tonda sulla quale sono incastrati dei chiodi vecchi. Il chiodo, che serve per fissare e sorreggere, in questo caso diventa quasi elemento decorativo che fortifica la maschera vuota. I forti chiodi non svolgono più la loro funzione, ma coronano quella che pare essere una giostra, nel gioco della vita. Io sono un mezzo.

Abbiamo parlato di fonderia e ovviamente non possiamo esimerci dal descrivere anche la tua esperienza in campo orafo. Assieme a Stefano Butti hai collaborato in laboratori alchemici orientati verso la ricerca dell'intento. Descrizione complicata per dire che…? :-)

Non così tanto complicata, dai! :) In antichità, ma anche oggi, i gioielli, i talismani, gli amuleti sono ed erano oggetti che si caricavano di valenza simbolica per chi li possedeva o per chi li donava. Per noi il laboratorio alchemico, fatto attraverso la trasformazione del materiale che serve per fare un gioiello, è occasione di lavoro su sé stessi e sui propri intenti. Di fatto, nel processo di creazione, si parte dalla manipolazione della cera per poi fare un calco (terra) che lascerà un cavo (liquefazione), all'interno del quale verrà messo il metallo incandescente (fuoco). Si lavora nella modellazione sul non giudizio, sul lasciare che le mani, con la loro memoria, passino attraverso il desiderio, l'intento: quello che, di fatto, ci fa stare nel "qui ed ora" e ci permette il radicamento. Un foglietto sul quale è scritto il bisogno o l'intento viene messo sul calco incandescente. Era credenza che, bruciando lo scritto, esso si racchiudesse nella stessa materia e l'intento, attraverso il fumo, volasse nell'etere.
Mi occupo di dare significato più profondo a questa materia e materialità che rende spessore al nostro fare.

Esperienza di particolare effetto è una sonorizzazione che fai nella Performance Simulacro di una bandiera per Internet alla Biennale di Venezia nel 2021 col tuo sax. Ci spieghi esattamente di cosa si tratta?

Si tratta di una performance tenutasi nell'ambito della Biennale di Architettura di Venezia il 23 ottobre 2021, nella Sala D'Armi all'Arsenale. Ospite d'eccezione era Vicente Todolì, art director della Fondazione Hangar Bicocca. La stella della Scala Stefania Ballone si è esibita con una mia sonorizzazione al sassofono baritono. La danzatrice ha utilizzato le «bandiere» prese dalla collezione online del Guggenheim Museum di New York, net.flag, opere di Mark Napier del 2002 e dei tanti artisti che hanno cooperato a questo suo progetto. Muovendosi sulle stesse e su mia sonorizzazione, si è scompigliato il principio che appartiene a queste bandiere e alla struttura originaria.

Ora le "Bergamodomande".
Una frase simpatica in bergamasco che ti piace tanto?

Tìres insèma.

Tu sei proprio innamorata della tua terra. Come la descriveresti attraverso una scultura?

Impastata.

Un gruppo bergamasco in cui ti piacerebbe suonare il tuo sax?

Più che con un gruppo, mi piacerebbe confrontarmi con qualche maestro/musicista attraverso il suono.

Grazie mille per aver condiviso con me le tue esperienze artistiche!

Possiamo vedere o comprendere maggiormente le tue performance su:

I tuoi contatti:
Instagram: ferreri_arianna
Facebook: Arianna Ferreri
E-mail: ferreriarianna@gmail.com

Intervista fatta da Arianna Trusgnach per Chèi de Bèrghem

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